venerdì 29 maggio 2009

ULULANDO

Esilio



Follia di un ritorno

da un esilio

nella ragione

che a torto la mente

sulla soglia

accoglie

di una patria

spaesata.



Distacco



Distaccata

mente

d una stella

l’ombra

assecondo

nella sua decadente

menzogna

e complice

mi rendo

mentre quella

barcolla

di luce

brilla.

In desiderio vorrei

senza mentire
la realtà

con distacco

mutare.




Assurdo eppure



Assurdo

eppure
la mia notte

veglio

l’ansia all’inferno

per mano accompagno

e la morte al seno

stringo.

Assurdo

eppure
come di una bambola

il rimpianto

che mai figurai

figlia.

Assurdo

eppure

io sogno.

giovedì 16 aprile 2009

Deliri in corso...

I veri deliri sono quelli scritti, anche quelli, insomma. Non si può essere completi nella follia, di follia, se non ci si lascia cadere nell'analfabetismo semicosciente che è l'unico codice di accesso all'altra parte. L'altra parte che domina su tutto e rende il resto sospeso nel respiro affannato che scandisce il tempo come un accento che sa dove andrà a cadere e nel frattempo resta sospeso in un presente già trascorso ma non vissuto. L'ultima sillaba sansice la parola. Il verbo continua a declinarsi all'infinito, sul'infinito. Declinio è il futuro che scende e non cade. Soltanto il cadere rende possibile il rialzarsi, lo scendere è un libero arbitrio a cui sottrarsi con la schiavitù volontaria della mente che non cede a nessuna ratio.
L'infinito non ha avuto inizio. Quando l'infinito si farà avanti e darà una prova della sua consapevolezza, l'innocenza non avrà più ragione di esistere. Esistere, per l'innocenza, non significa esserci, ma solo probabilità di esserci. Anche a dispetto di quella tentazione che viene, per comodo, chiamata esistenza. Richiama a cui non risponde quell'altra parte denominata, sempre per comodo, vita. Sordomuta, avanza nel cieco silenzio che grida e guida cantando la canzone che Dio compose, spacciandola per un'opera: l'Opera!
Ma è soltanto una filastrocca per bambini ancora analfabeti e destinati a restare tali, che ripetono, incessanti e inconsapevoli, la chiave d'accesso che porta all'esterno di un eterno, perchè altri possano ascoltare e rendere partecipi quei bambini stessi, con i loro sguardi già perduti in una foresta trafitta dalla luce di un sole senza scopo alcuno se non quello di sembrare fatto di luce.
Lo scopo di esistere annulla il perchè dell'esistenza stessa.

Ed io delirio. Come una domenica fuori programma. Un giorno inventato da un tempo impossibile ma non improbabile.
Se Dio avesse avuto intenzione di esistere, non avrebbe avuto bisogno di di una domenica, di un tempo, di giorni contati, di inizi, ma soltanto di fini.
Ed ecco che la domenica diventa lo scopo ultimo. Il fine. La fine.
Per godersi un riposo, Dio si è inventato un lavoro, una fatica e un tempo per stancarsi.

Delirio su delirio cominio ad aver ragione di me stessa e quello che è possibile perde i sensi.


Immaginate una chiesa
profanata
dal bisbiglio biascicato
di pensieri vecchi mai usati
e di nuovi già logorati
riposti nel posto giusto
per non esser conservati.
Guardate al sacro
che qualcuno palesò
nella bellezza
e dell'arte usò la scusa
per non farne parte.
Illuso Maestro del suo fare
talento e fatica
passione spassionata
tesa all'inganno
di un'eternità
già esaudita.



lunedì 16 marzo 2009

CAPITOLO DELLA DONNA CAPITOLATA

Eccoti, ti vedo, davanti ad una vetrina che rispecchia il tuo corpo di madre già orfana delle materne occupazioni e preoccupazioni. Della tua prole in giro per il mondo, o dall’altra parte della città, comunque lontano quanto basta per non essere ingurgita dalla tua fame vorace. Anche se il tuo grembo sembra ostinarsi a trattenere il ricordo di quei mesi passati a contare i mesi che ti dividevano dal condividere il tuo pasto alla mensa dei poveri. Più che partorire, vomitasti la tua genia, in un rigurgito di orgoglioso sollievo. Da quel momento il tempo smise di passare dalle tue parti, si limitò a sorvolarti. Accorciando le distanze da tutto ciò che non ti riguarda e che non psi volta a guardarti. Non più. Gioisce e inarridisce al ricordo che ti vedeva empia del torcicollo di tanti galli che ormai son capponi, ma del cui sguardo acquoso ancora brameresti un lampo. O forse rimpiangi quello che mai fu, ma non invano arriva quel rimpianto, a sproposito come ogni cosa spropositata che non hai osato fare. Come comprare quella camicetta che ti piace tanto, solo perchè non ti bastano i soldi per la frutta. Tu ne faresti a meno, della frutta. Tuo marito farebbe a meno della camicetta.

Hai soldi contati, eppure continui a contarli.

Non ti riguarda più il tempo contato, ma fingi di contare il tempo che ti resta a disposizione per non comprare quel vestito che ti piace tanto e che addosso a te starebbe tanto male. Ti resta il tempo per non fartene una ragione, e folleggiare fra le bancarelle del mercato. Ti fai strada, a spintoni e parolacce, fra la fila di aspiranti volontarie ad entrare nell’esercito delle donne al fronte. La trincea è ancora lontana, ma gli spari degli ultimi pezzi a disposizione dell’artiglieria nemica, ti rende ardita almeno quanto riparata dalla tentazione di disertare. Meglio dissertare sul prezzo. Aver rinunciato alla camicetta non significa essere vigliacchi, solo prudenti quel tanto che è già troppo. Conquistare un lembo di stoffa strappata dalle mani della nemica, che continua a fingere di disprezzare quel che entrambe ambite, ti rende fiera e feroce. E senza guardare di cosa si tratta, senza trattare sul prezzo, compri. E porti a casa. Piena di borse di plastica, piena di te, piena di rabbia, ma nonostante tutto piena di amore. Non hai disprezzato eppure hai comprato. I luoghi comuni non fanno per te. Tranne uno, tranne quel posto, dove tutto è in comune con gli altri. Quelli che ci sono e quelli che vanno e vengono. E anche per quelli che non vengono più. Chi se ne frega della camicetta? Beh... potrebbe esserci ancora, magari una diversa, che ti piace di più. Che costa meno, o magari avrai più soldi. Dopotutto, tuo marito non è ancora alla frutta. E neppure tu. E mai più ci sarete, purtroppo. Il tempo della semina è finito prima del tempo, del primo tempo. L'intervallo non ricrea, non crea. Distrugge. La pausa che ti prendi a tutti i costi non ha valore eppure l'ostenti come il più prezioso dei tesori. L'isola che non c'è non c'è mai stata. Eppure ci sei approdata, naufraga ignara dell'ultimo diluvio, colomba in gabbia, che non proferisci neppure il silenzio per non rischiare di perdere la quiete che ti squarcia la gola.

E un ramoscello d'ulivo cade laggiù, nella polvere che si leva da uno sparo che il mercante svende a caro prezzo e poi giace estinto e sconsolato d'aver sprecato invano l'ultimo omaggio per la sua donna in guerra anche con la guerra.

Il riposo non ha più senso, tanto vale scavare fino al mare. Perfino a... mare.